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mercoledì 23 gennaio 2013

da un post di SatènCaffè Bollicine in FB

Colfòndo..Colfòndo....Colfòndo!!
Colfondo è un termine ormai piuttosto conosciuto, almeno nell'ambiente dei blogger, sia per gli eventi che intorno ad esso sono stati organizzati, sia perché nell'era dei vini "che ritornano alla natura e alle tradizioni", ma con una consapevolezza del tutto diversa, rappresenta una tipologia di Prosecco del tutto particolare, i francesi lo chiamerebbero "sur lies", ovvero vino fermentato in bottiglia a contatto con i propri lieviti, in controtendenza con il maggioritario metodo Charmat o dei grandi recipienti (autoclavi), ma in questo specifico caso sarebbe più corretto chiamarlo "metodo familiare", proprio perché affonda le sue radici nel consumo quotidiano della propria casa o, al massimo, in compagnia degli amici di sempre.Il Colfondo racconta il vino di un tempo, fatto nel modo più semplice del mondo, senza trucchi né manipolazioni enologiche sempre più in voga; non subisce filtrazioni e lo si vede chiaramente perché se lo agiti si intorbidisce, se lo fai riposare, dopo qualche ora si depositano sul fondo proprio quei lieviti con i quali ha condiviso quell'esiguo spazio in cui avviene il miracolo (chimico). Alcolicità mediamente bassa (raramente supera gli 11 gradi), bollicine mai violente ma portatrici di profumi schietti e diretti, "acuti". Maurizio Donadì si spinge oltre nel modo di "progettarlo": partendo da una lavorazione della vigna rigorosamente in biologico, in cantina lavora per ridurre al massimo qualsiasi intervento, i lieviti sono in realtà fermenti naturali, inseriti in una capsula in ceramica all'interno della bottiglia, microorganismi che hanno lo scopo di non "mettere in regola a priori" il vino che verrà, ma fornirgli gli strumenti per seguire un percorso autonomo, non sarà quindi strano se ogni bottiglia racconterà qualcosa di diverso.Si è molto discusso sull'accento acuto nel termine Colfondo, dal punto di vista della pronuncia appariva quasi ovvio se non si voleva un effetto "meridionale", in realtà quell'acuto è l'emblema del carattere dei vini di questa tipologia, ma Donadì, non chiedetemi perché è andato controcorrente, mettendo in crisi tutte le filosofie che su quell'accento erano state enunciate. L'etichetta del suo Colfòndo ha l'accento grave, perbacco...cosa vorrà dire?Ma veniamo al vino: il primo assaggio l'ho effettuato con il fondo depositato sulla bottiglia, nel calice quindi appare un vino relativamente limpido e lucente, dalle sfumature giallo paglierino tenue. Accostato al naso mi ha richiamato immediate sensazioni di agrumi e crosta di pane, allargandosi man mano a toni di susina e pesca bianca, non mancano spunti di erbette di campo e un bagliore di gesso. L'assaggio ci dice che l'acidità e la spinta agrumata sono il leitmotiv del vino ma contornato da sfumature accattivanti, tanto che sembra quasi di masticare qualche erbetta aromatica come la limoncella. Vino, quindi, pulito e profumato, con un proprio carattere e una beva davvero gustosa. Seconda prova dopo aver messo in circolo i lieviti e intorbidito il vino: i profumi di pane sfornato diventano più evidenti e il frutto appare più "liquido", ovvero richiama le spremute di limone e pompelmo, mentre al palato perde qualcosa in equilibrio e pulizia ma acquista un effetto meno aggressivo sulle pareti della bocca, lasciando, fra l'altro una persistenza gustativa maggiore. Bel vino, per nulla banale o semplice, non mi stupirei affatto se fra una dozzina di anni risultasse tutt'altro che spento.

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